scovato #2

Quando nel 1955 apparve Metello più di qualche critico rilevò il debito di Vasco Pratolini verso la tradizione del neorealismo cinematografico, sicché l’appuntamento del libro con lo schermo apparve subito inevitabile. Stranamente l’evento si compie con un certo ritardo e a cura di un traduttore per immagini, Mauro Bolognini, legato a un gusto neocalligrafico piuttosto che alla poetica del dopoguerra. Ne risulta un romanzo sceneggiato di impeccabile nitore figurativo, ritagliato sulla memoria di una Firenze a cavallo del secolo miracolosamente ritrovata. Se il libro era un tentativo di tornare al romanzo di tipo popolare, al racconto ciclico, a Victor Hugo, il film ne rispecchia la struttura con sintetica fedeltà. Tra i due filoni che s’intrecciano nelle pagine di Pratolini, l’educazione sentimentale e la presa di coscienza politica del personaggio, Bolognini è più portato a interessarsi dei moti del cuore: eppure la sequenza memorabile è quella della carica contro il funerale con le bandiere rosse e nere. Qui si sentono la tensione e il furore della repressione umbertina e lo sforzo che fece l’Italia a diventare un paese moderno. In altre situazioni il film scivola nel descrittivo e rivela qualche indecisione piacevole a vedersi ma un po’ inerte, proprio come il Metello di Massimo Ranieri.

Da Tullio Kezich, Il Mille film. Dieci anni al cinema 1967-1977, Edizioni Il Formichiere

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