arte fotografica



mi affascina la costruzione. la luce. la trama.
mi coinvolge un percorso, un'evoluzione, un viaggio.
è la mia bellezza.
l'architettura mi ha insegnato a cercare il luogo.
la fotografia spesso mi offre il miracolo: ritrovare in un ritratto la stessa struttura, la stessa luminosità, la stratificazione dei materiali vissuti.

La mostra di McCurry al Palazzo della Ragione a Milano è stata occasione ambivalente.
Il luogo mi è molto caro, seppure non vi fossi mai entrata.
Era il centro della Milano medievale, Mercato e Tribunale, poco distante dalla scomparsa basilica di Santa Tecla(discepola di San Paolo e prima femminista della storia biblica, relegata nei vangeli apocrifi).
Questo meraviglioso edificio, che ammicca alla piazza del Duomo pur rimanendo in disparte, è stato il manifesto dell'attività teorica e progettuale del prof. Dezzi Bardeschi (per la polemica in proposito si rimanda all'articolo del corriere della sera).
Mi lascio convincere dagli amici a entrare. L'autore è lo stesso della copertina del libro di foto della Phaidon che vedo ovunque da anni. Mi perseguita, mi vuole.
Mi ci butto, male non farà.
Entriamo: la scala d'ingresso è percorso catartico. Preghiere di critica precedono l'ingresso.
La sala arriva come d'improvviso, una leggera parete nera ostacola l'occhio, lo spazio buio è ampio, in alto.
Gli addetti sembrano confusi, seccati, l'organizzazione con loro non è stata corretta, fanno venire anche a me voglia di trovare argomenti contro l'amministrazione, difetti, pecche, perplessità.
Subito volgo lo sguardo verso la selva di foto. La presentazione è caotica, non c'è un ordine, un senso, un'indicazione. Spesso si rischia di perdere alcune immagini, poste insospettabilmente sul retro di altre.
Sono scettica, scorro la prima sezione, non riesco a essere colpita dalle foto, qualcosa mi sfugge.
Probabilmente sono solo distratta dai supporti delle foto: un intricato sistema di travetti lignei pervade lo spazio sopra le nostre teste, trapuntato di lampade che puntano verso il basso: verso le foto, che sembrano illuminarsi di luce propria.
Dagli stessi supporti scendono sottili cavi ai quali sono agganciate le foto: poliplat nero e pellicola fotografica.
Sono scettica, è tutto così disordinato, non si capisce.
insisto, scorro i ritratti, non me ne piace nessuno. Mi sforzo, mi concentro.










Analizzo la composizione, il colore, la messa a fuoco.
I toni, la luce, insomma, non si può dire non siano belle foto, suvvia.
Poi qualcosa scatta, un volto mi rapisce, e da allora la mostra diventa mia.
In qualche modo, ho guadagnato quello spazio, ho trovato il mio tempo, il mio modo.
Mi inerpico nella selva di foto, godo del viaggio, degli squarci luminosi.
Mi fermo un attimo, volgo lo sguardo.
E lì, capisco.
Capisco e apprezzo.
Quel percorso museale è la vita. Tu vivi, cammini, ti sposti.
Poi ti volti.
E la vedi. Vedi un'immagine che ti colpisce, una bellezza che è lì e che ti chiede solo di essere fotografata.
Questa è l'invenzione geniale dell'esposizione su Steve McCurry al Palazzo della Ragione: riprodurre con un artificio scenico la stessa sorpresa che la vita offre quando incontra la fotografia.

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