ciao, c'ho la morte ne vuoi un po'?
Certo che non lo potevo sapere, certo che le cose succedono, però è incredibile come ci si metta a lottare contro le cose e poi queste, alla fine, vincano. Da sole. Senza nemmeno l'illusione di una forza nascosta a ordinare la trama dei fatti. Nemmeno un tornello, una di quelle palizzate strette, nemmeno un panettone messo lì a scansare le macchine.
La verità è che ci son delle cose giuste. E quelle cose, alla lunga, succedono.
E così è successo che dai e ridai io e te l'abbiam capito che non era aria di. Certo, forse potevamo evitare quella notte, i piatti comprati insieme all'ikea, forse si poteva evitare la valanga di odio rovesciata in testa, ma alla fine, lo sapevamo.
Quello che non mi aspettavo, quello che non potevo sospettare, era come sarebbe andato avanti. Senza di te, dopo. Che cosa sarebbe successo, cosa sarei stata io, che cosa avrei fatto.
Forse non mi interessava. Probabilmente non mi interessava.
Ero io con la mia ferita, io con questo buco rotto. Che un buco - uno dice - è già buco, che vuoi farci ancora? e invece ci son buchi belli, lisci, dei buchi fatti per metterci delle cose, dei buchi per guardarci attraverso, buchi che assorbono i toni spiacevoli, dei buchi fatti apposta per fare del bene.
Questo no, questo buco era fatto per fare il male e infatti io ero lì col mio buco e stavo male e non volevo nemmeno sapere cosa sarebbe successo.
Poi la verità è che quasi mai riesco a figurarmi bene un futuro, chi è che è capace? Tanto che l'altro giorno pensavo ad Asimov e cacchio, questa cosa della psicostoriografia sarebbe fica, no? Forse no. Forse a sapere il futuro ci arrabbieremmo e faremmo di tutto per sabotarlo, chessò.
Ma stavo dicendo che io, proprio, questa cosa di immaginarmi non ce la facevo, un po' me ne fregavo, un po' me la immaginavo tipo: ok, adesso mi riprendo un po', vado alle feste, vedo le persone, rido, scherzo, bevo, poi a un certo punto mi siedo, mi guardo allo specchio e sto bene.
Sì, io me l'immaginavo così.
Che mi sarei "distratta un pochino" e poi tutto sarebbe andato a posto. I celeberrimi puzzle autocomponentesi. (che poi i radiohead si, ma che gusto ci sarebbe, thom, te lo sei chiesto?)
Insomma che non è andata proprio cosi. O forse sono io che ho questo decisionismo congenito e le cose, aspettar che si risolvan da sole, ma che gusto c'è? (Quello dei jigsaw falling into place, appunto)
Così io, come un bravo pesciolino nella boccia, ho cominciato a scalpitare, ma senza rumore, dentro l'acqua, muovermi forsennatamente in tutte le direzioni, ma zitta, appunto, tacendo anche a me stessa le ragioni della mia stessa frenesia, che palesata si sarebbe rivelata prematura e insensata.
Però io non mi facevo sentire, e rincorrevo, bianconiglio biologico, il destino che mi aveva preparato il té per le cinque, e non un minuto prima me l'avrebbe servito.
Le five o'clock della mia vita sono state il primo di dicembre.
Quello stesso giorno, un anno fa, la mia vita si rompeva. Quel buco che era stato liscio e giusto e che aveva assorbito le frequenze e che tanto bene aveva assolto al suo compito si era scomposto, le pareti deformate.
Quest'anno, dopo un anno esatto, ricomincio sulle mie zampine. Il buco forse non si è ricomposto, forse gli ho messo all'ingresso una fascetta 'crime scene', ma è già qualcosa.
E ora si ricomincia.
1 commento:
Guardarsi "dal di fuori", come un padrone che osserva il suo cane.
E' questo il tempo. E fa bene. Si cresce.
Posta un commento