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L'ultimo film di scena di Olmi, stando almeno a quello che lo stesso regista ha più volte dichiarato: si dedicherà ora solo ai documentari, salvo ripensamenti.

C'è da credergli, visto che già Centochiodi sembra animato da una dialettica fra realismo e finzione. Da una parte, infatti, la pellicola fotografa la vita di chi abita lungo il fiume - ricorda qualcosa? - con attenzione e senza particolari artifizi visivi: di più, Olmi fa recitare nelle parti di loro stessi alcuni dei veri abitanti delle rive del Po, più precisamente della zona di S.Giacomo, Mantova. Dall'altra parte, sul versante fiction, vi è una narrazione costruita per essere simbolica, che prende le mosse dall'episodio della biblioteca. Olmi costruisce la vicenda intorno al gesto di ribellione del protagonista senza nome, un ricco professore trentacinquenne, bello e dotato di costosa automobile tedesca decappottabile ultimo modello: già siamo dalle parti della rarità, se non proprio dell'inverosimile; il protagonista diventa una specie di messia capace di catalizzare intorno a sé un vero e proprio culto della personalità da parte degli abitanti della zona, che raccoglie intorno a sé in grandi tavolate, versando vino e spezzando il pane della saggezza. Non fa miracoli, ma già lo chiamano Gesù Cristo.

Il messaggio è chiaro e condivisibile: il ritorno a una dimensione di vita più umana contro il logorio della modernità, accompagnato dalla protesta contro ogni tipo di pastoia religiosa, ideologica o culturale che impediscano all'uomo di vivere pienamente l'esistenza.

Quest' uomo che diviene profeta è interpretato da Raz Degan: ecco, qui il patto finzionale diventa davvero troppo oneroso per lo spettatore, e qualsiasi tecnica di sospensione dell'incredulità diventa inutile. Ovvio, si tratta in fondo di un pregiudizio, ma anni di amari (da bere senza motivo) e di dubbi amletici sull'alimentazione (la mangiamo o no, questa carne?) non si cancellano facilmente dalla mente dello spettatore. In ogni caso, Olmi riesce a costruire più di una scena in cui Degan se la cava piuttosto bene, certo aiutato anche dal doppiaggio.

Il film si muove fra alti e bassi: ispirata la fotografia di Fabio Olmi, meno la sceneggiatura che a volte esagera un po' nella ricerca di una poetica semplicità; non manca qualche momento di involontario umorismo.

Centochiodi rimane una pellicola da vedere, che riesce a lasciare sentimenti positivi allo spettatore nonostante non si tratti certo di una delle opere più riuscite del regista. (michele serra)

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